giovedì 2 dicembre 2010

Talent Discount.

Ridotto così da un legittimo impedimento.



In esubero.




Barbone equo e solidale.

Il moroso perfetto.

Jackpot Victim.Ridotto così dal superenalotto.







Ex Bamboccione.



Schiava Moderna.

Ho acceso un mutuo e la banca mi ha spento.

Ho solo la prima.






Lo Zen e l’arte di aspettare il tram.



Dolce e Gabbato.

Con i Bot ho fatto il Botto!

Nel mio intimo c’è Brunetta.

Paghi uno sfami tre.

Non ho mai creduto alla Befana, nemmeno dopo aver conosciuto mia suocera.

Non ho l’età per fare l’escort.

Sono stato intercettato da mia moglie.

Clochard certificato ISO 9001.

Voglio adottare un capitalista.

La vita non ha prezzo. Per tutto il resto c’è Social card.

Obliterato di lavoro


Finali Racconti


Ritorno a Santiago


Il treno correva veloce, riportandomi a casa dopo venti lunghi anni di assenza dal Cile. Dal finestrino vedevo scorrere la mia terra e ritrovavo forme familiari, contorni e profili disegnati nel mio cuore come una mappa impressa a fuoco nella carne viva. Mi accorsi che stavo piangendo. Tutta la nostalgia e la malinconia soffocata in quei lunghi anni di assenza stava lentamente riemergendo dall’oscurità dei miei abissi interiori. Ero fuggita preda di un sordo malessere alla ricerca della felicità o dell’idea malata che me ne ero fatta. Quando ti guardi allo specchio e capisci di essere stata solo un interprete dei desideri altrui, la fuga diventa l’unica salvezza.
Qualcuno una volta mi disse che il viaggio è rinascita spirituale, trascendenza. Quando sono partita ho sentito la mia anima lacerarsi, ho perso i confini di me stessa e di quello che fino a quel momento credevo fosse il senso della mia vita. Ma quando l’anima dolorosamente si schiude, esci dal tuo piccolo io e ti rendi conto che la visione del mondo non è il mondo. Questo viaggio mi ha preso a pugni e a calci. Il ritorno mi ha partorito ed espulso sulla nuda terra riconsegnando a me stessa quel significato che non ho mai saputo leggere negli occhi di chi mi amava. Ora sono a casa e penso a quanto sono cambiata, che questa terra è cambiata.
Molto amore sarebbe stato necessario per ricominciare a sperare.


Progetto Demetra


Una violenta deflagrazione squassò l’aria. Lampi di luce accecante ferirono il cielo della notte mentre il Panottico esplodeva in mille pezzi e le sue macerie ricadevano al suolo in una nuvola di polvere, cenere e scintille.
Alex e i suoi furono sbalzati dallo spostamento d’aria che li catapultò in un vortice di detriti incandescenti. Quando finalmente riuscirono a rialzarsi contemplarono sconvolti lo spettacolo di distruzione sotto i loro occhi.
“Alex, lo sai che non è finita, vero?”, chiese con voce tremante Sara.
“Si, la nostra vera battaglia comincia ora!” rispose Alex guardando la lunga fila di automezzi blindati che si allontanava velocemente dal Panottico o da quel poco che ne restava.
Il Progetto Demetra era ancora in pericolo. Erano riusciti a difendersi dal loro violento attacco ed a distruggere solo un simbolo del potere invisibile che aveva avvelenato subdolamente il mondo e reso la libertà solo un’illusione. La ristretta oligarchia che si celava dietro le alte sfere della rete globale era viva e vegeta. Si rigenerava come un cancro maligno, determinata più che mai a realizzare “Il Protocollo”. Il loro piano delirante prevedeva il totale controllo di individui spontaneamente asserviti. Il difetto genetico che li accomunava era stata la loro salvezza o la loro condanna. Il protocollo su di loro non aveva funzionato. Tutti coloro che erano a conoscenza del Progetto Demetra e del suo rivoluzionario programma di trasformazione della comunità mondiale dovevano essere eliminati.
Mentre guardavano le fiamme lambire il cielo cresceva in loro la consapevolezza che avrebbero dovuto lottare contro un ingranaggio mostruoso determinato a schiacciarli.
Riprogettare la cultura di tutto il mondo e rifondare la civiltà era stato molto più di un sogno per tutti loro. Era un problema di sopravvivenza. Fondare il nuovo mondo sull’uso delle risorse globali e non sul denaro avrebbe permesso di spazzare con un solo gesto la guerra, la povertà, la fame, la criminalità, l’ignoranza, la paura e l’ingiustizia.
La tecnologia per realizzare tutto questo esisteva. La gente doveva solo poter vedere con i propri occhi che un sistema costruito per massimizzare la qualità della vita e non i profitti era possibile. Questa sarebbe stata la loro vera grande sfida. Dovevano battere il nemico usando le sue stesse armi. Tutti dovevano vedere quello che era stato realizzato nella città sperimentale di Rea. Loro sapevano che un mondo diverso era possibile e questa certezza sarebbe stata la loro forza. Lo scontro finale era appena cominciato.


Campo de' Fiori

“Oggi in questo giorno gelido di febbraio la mia anima sta per ricongiungersi all’universo infinito e a Dio. Lo stesso Dio che mi sta guardando tra le fiamme di questo rogo che arde innanzi a me. Mi hanno posto la lingua in giova affinché non possa parlare, ma non potranno incatenare il mio pensiero. Attraverso questa piazza e vedo negli occhi di questi uomini e queste donne tutta la loro natura bestiale. Come asini, privi del proprio sentimento ed affetto, essi comprendono solo come gli vien soffiato alle orecchie dalle rivelazioni degli dei o di quelli che agiscono in loro vece e l’anima mi pesa nel vedere costoro che si governano non secondo propria legge ma della legge di quei medesimi.
Non ho paura, io sono solo l’ombra di Dio che è Uno tutto con l’Universo. L’ombra prepara la vista alla luce poiché l’ombra tempra la luce.
Ho lottato ed é molto. Ho creduto di poter vincere ma al corpo è stata negata la forza dell'animo. E' già qualcosa l'essermi cimentato giacché vedo che vincere é nelle mani del fato.
Per quel che mi riguarda ho fatto il possibile. Nessuna delle generazioni venture potrà negarmi quel che un vincitore poteva metterci di suo: non aver temuto la morte, non aver ceduto con fermo viso a nessun simile, aver preferito una morte animosa a un'imbelle vita “.

Giordano Bruno fu condannato al rogo dall’Inquisizione cattolica per eresia. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi ed il crocefisso morì bruciato in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600.


La porta parallela


La mezzanotte del 23 giugno era vicina. Dovevano raggiungere la stanza araba del castello prima che i Cavalieri Neri, i discendenti dei terribili Nephilim, i figli dei 200 Veglianti ribelli scesi dal cielo per unirsi con donne umane, riuscissero ad aprire la Porta Parallela e ad appropriarsi del segreto della Saetta di Amon. Il Grande Giuramento dell’Alleanza Cosmica sarebbe stato infranto e i Veglianti ribelli sarebbero tornati dalla costellazione di Orione dove erano stati confinati, per rivelare l’ultimo grande segreto della conoscenza, il potere dell’energia cosmica che sarebbe stato usato per portare solo guerra e distruzione.
Mark e Deolinda si avviarono lungo il camminamento sotterraneo che dal Duomo conduceva direttamente nel cuore dell’antico Castello di Federico II. Attraversarono il cunicolo che sfruttava l’antico letto di un fiume sotterraneo e sbucarono direttamente al centro del cortile del castello, nel punto in cui una volta sorgeva la grande vasca ottagonale degli iniziati.
Il criptogramma sulla parete di fronte l’entrata recitava :
“Va a sinistra e guarda in alto il volto di pietra deforme e poi recati nella stanza dei cerchi , dove, nel giorno più lungo brilla la sacra pietra ”.
Superarono quindi la sala del Baphometto e procedendo verso sinistra si ritrovarono direttamente nei pressi della sala araba dove il Gran Maestro stava officiando il rito magico che avrebbe aperto la Porta Parallela. Al centro del pavimento della sala era disegnato il cerchio del “cosmo” racchiuso in un doppio quadrato ai cui angoli erano disposti quattro piccoli cerchi (fuoco, acqua, terra, aria). Dodici bracieri erano stati disposti sul pavimento secondo la “stella di Salomone”, così come dodici erano i cavalieri Nephilim che formavano il grande cerchio nel cui mezzo il Gran maestro stava invocando Azazel di rivelare loro l’ultimo grande segreto. La Saetta di Amon!
Un enorme buco nero apparve nel cielo stellato ed un sibilo fortissimo squarciò l’aria. La violenza del campo magnetico generata provocò nausea e vertigini a Mark e a Deolinda.
“Non posso farcela” esclamò Deolinda che non riusciva più a rialzarsi. Mark la esortò a non arrendersi proprio allora. Lei era l’ultima discendente degli Elohim, l’unica che avrebbe potuto ricacciare indietro i Nephilim e ristabilire l’ordine cosmico che avrebbe salvato il mondo. Deolinda lottò contro le vertigini e con sforzo sovrumano cercò di raggiungere il centro del cerchio. A mezzanotte il cielo si aprì e un fascio di luce accecante partì dal buco nero investendo il Gran Maestro che si contorse per il dolore. Azazel si impossessò del suo corpo che lentamente si trasformò per assumere le sembianze dell’essere splendente venuto da Orione. Azazel era imponente e la pelle chiarissima risplendeva come i suoi occhi luminosi. I lunghi capelli ondulati erano bianchissimi
“Libero, finalmente libero! La vendetta è vicina, l’ultimo segreto ora vi sarà rivelato!”
“Noooooooooooo!” . Con un urlo disperato Deolinda si lanciò all’interno del cerchio e scagliò con tutta la forza che le restava la pietra sacra su cui era inciso il nome di Dio contro Azazel.
L’orrore si dipinse sul volto del Vegliante mentre lui e i dodici Cavalieri Neri venivano risucchiati dalla forza oscura della Porta Parallela e riportati su Orione dove sarebbero rimasti imprigionati per sempre. Il cielo si richiuse e tutto fu silenzio. Mark raggiunse Deolinda e l’abbracciò.
“Brava amore mio, sei stata brava!” le disse. Deolinda piangeva, lacrime di sollievo solcavano il suo viso mentre trovava rifugio tra le braccia di Mark. L’incubo era finito. “Tu sei la prescelta, l’unica che poteva ricacciare indietro le forze del male e ristabilire l’antica alleanza”. “L’armonia tra Cielo e Terra è stata ricostruita. Il mondo è salvo”!
Deolinda si rialzò, prese tra le sue la mano di Mark e insieme guardarono nascere l’alba di un nuovo giorno.


L’isola di Jackyll

David era sconvolto. L’atroce verità era sotto i suoi occhi, nei documenti riservati sottratti alla Union Bank Corporation. Era un incubo, il peggior incubo della sua vita. Con orrore alzò gli occhi per incontrare quelli di Elen.
“Tu lo sapevi vero? Sapevi tutto, l’hai sempre saputo”!
“David, ti prego…”.
“Taci! Abbi almeno il buon gusto di stare zitta! Cosa credevate tu e tuo padre? Di mettermi a tacere solo perché sarei diventato tuo marito”?
“Anche questo matrimonio faceva parte dei vostri piani”?
“David, ma cosa stai dicendo! Io ti amo”!
“No Elen, tu sei come tuo padre. Solo il potere vi interessa e non importa se milioni di persone in tutto il mondo stanno morendo a causa vostra e delle vostre sfrenate ambizioni”!
David uscì sbattendo la porta. La pioggia sferzante lo investì con violenza ma quasi non se ne accorse. La devastazione interiore che provava lo costrinse a piegarsi in due per vomitare. Vomitò tutto, anche l’anima ma questo non riuscì a cancellare l’orrore di ciò che aveva appena scoperto. Il padre della sua futura moglie faceva parte di una potentissima élite finanziaria che da anni cospirava per il controllo del mondo.
Le loro banche tramite la Federal Reserve avevano manovrato l’offerta di moneta innescando scientificamente il panico finanziario e la crisi a catena delle borse. Avevano usato la stampa che controllavano e lui che era un giornalista, per seminare il panico e causare il fallimento di molte piccole banche indipendenti e concorrenti così da accorparle alle grandi istituzioni che questi "manovratori occulti" controllavano.
Avevano rapinato il paese controllando l’offerta di moneta ma questo non gli era bastato. Erano andati oltre usando la guerra come fonte di profitto. Non solo Morgan e i suoi compari Warburg, Lamont, Lehman, Rothschild e Rockfeller avevano finanziato la gran parte della produzione bellica tedesca, ma alla fine del 1940 tutti loro si erano riuniti a New York per finanziare con milioni di dollari un programma di propaganda per pilotare l’opinione pubblica americana a favore della guerra. I giapponesi erano stati manovrati in modo che sparassero il primo colpo. L’attacco a Pearl Harbour era stato solo un vile complotto organizzato dai potenti della Federal Reserve con il benestare di Roosvelt e dei suoi consiglieri.
Lui ora aveva le prove che il direttore della Union Bank Corporation, il senatore Prescott Bush, con il clan degli Harriman e dei Walker avevano finanziato Hitler.
La guerra per tutti loro altro non era che una fonte inesauribile di profitti e non importava se questi erano sporchi del sangue di milioni di innocenti.
David si sentì svuotato. Aveva dedicato tutta la sua vita al giornalismo e alla ricerca della verità ma questo andava oltre la sua capacità di comprensione. Lo avevano usato come una marionetta, rendendolo complice delle loro sporche manovre. Ma non aveva alcuna intenzione di restare a guardare. Le prove le avrebbe sbattute sotto il naso dello stesso Roosvelt e non importava se questo gli sarebbe costato la vita. Dopo l’orrore di quelle rivelazioni non era nemmeno più sicuro di voler rivedere l’alba.

Il neo


Pietro finì di allenarsi e come sempre si fermò al bar del circolo per un drink. Aveva bisogno di qualcosa di forte quella sera. Sentì il whisky scendere giù caldo per la gola e la familiare sensazione di calore lo rilassò. Tornare a casa lo metteva a disagio. Non era stato sempre così. C’era stato un tempo in cui tutto era diverso, maledettamente diverso. Scacciò il pensiero con fastidio.
Chiara gli si avvicinò sorridente. Guardandola negli occhi si sentì trasportato nella leggerezza di un’esistenza ottusa e si sentì a suo agio. Il mondo cui era abituato era popolato di esseri simili a lei, perennemente in agguato, sempre a caccia.
Gli mise le braccia al collo e gli sfiorò delicatamente l’orecchio con le labbra.
Pietro l’afferrò per i polsi e fissandola disse quasi con cattiveria: “Ti farò male”!
Chiara non rispose, lo guardò con aria di sfida passandosi la lingua sulle labbra.
Andarono nel suo ufficio. Quella ormai era diventata la sua casa, l’unico luogo che ospitava i deliri della sua follia. Per Chiara non era la prima volta in quell’ufficio ma stranamente, avvertì un brivido di paura quando lui afferrò un piccolo scudiscio tirato fuori da chissà dove. Si sentì come un animale che fiuta in anticipo l’odore della morte e fu turbata dal calore umido che avvertì improvvisamente tra le gambe. A forza di fingere, aveva finito di crederci, pensò tra sé.
Pietro le afferrò i capelli alla nuca con forza, costringendola a inginocchiarsi. La vide così fragile ai suoi piedi, così piegata ai suoi desideri, così meravigliosamente interprete della sua volontà onnipotente che il suo sangue si fece duro quasi subito. La girò con violenza carponi sul pavimento e cominciò a invadere con ferocia il suo corpo, per offenderlo, per umiliarlo mentre la colpiva ripetutamente con quella maledetta frusta .
Gli occhi cominciarono a lacrimarle per l’intensa sofferenza, sentì che le stava torturando un capezzolo ma Chiara non mostrò il minimo cedimento resistendo con la determinazione di una sanguisuga che ha agganciato una vena gonfia di sangue.
Pietro sentì l’orgasmo avvicinarsi, i contorni della stanza sfumarono nei suoi occhi annebbiati dalle lacrime mentre un altro volto, l’odore di altri capelli, di un’altra pelle cominciarono a rimbalzargli nel cervello. Continuò a colpire Chiara ed a insultarla mentre silenziosamente dentro di sé urlava contro Dio, quel Dio che aveva cancellato “l’altra” con la disattenzione tipica degli dei.
Finì tutto rapidamente. Più tardi, alla sua scrivania, Pietro si accese con gesti lenti una sigaretta. Chiara si rivestì e quando gli fu di fronte le comunicò con noncuranza che non voleva più vederla.
“Perché? Non capisco…..”.
“Ho visto il neo, quello sulla natica”, e fu tutto.


La talpa


“Complimenti ispettore! Il suo fattivo contributo alle indagini è stato prezioso per la soluzione del caso”!
Con un sorriso artefatto tanto quanto la sua protesi dentaria, il Questore congedò l’ispettore De Angelis. Dio solo sapeva quanto gli sarebbe costata la soluzione di quel “caso”.
De Angelis intascò l’ipocrisia del conestabile con l’intima soddisfazione di saperlo impegnato per il prossimo futuro in ardite acrobazie diplomatiche per salvaguardare la sua reputazione di ligio e zelante funzionario del sistema. Salutò il Questore con la ferma intenzione di trascorrere le restanti ore della giornata sprofondato nella sua adorata e traballante poltrona ad ascoltare Corelli. Quella poltrona non era solo un luogo sacro di meditazione dove aveva trovato la soluzione ai “casi” della sua vita, non necessariamente professionale, era anche un luogo di purificazione. E in quel momento più che mai aveva bisogno di togliersi di dosso un po’ di merda. La setta satanica che aveva insanguinato la città con i suoi sacrifici umani, altro non era che una potente organizzazione criminale gestita dagli imprenditori e dagli uomini politici più in vista della città. Uno scandalo di enormi proporzioni che aveva portato in carcere un bel po’ di gente, sindaco compreso. Era comprensibile che il Questore si trovasse in impasse, orfano dei giusti riferimenti istituzionali, non sapendo più a chi rivolgere i suoi servigi ed in quale direzione fare la riverenza. Ben gli sta, pensò tra se l’ispettore pensando al suo magro stipendio.
Ironia della sorte tutto quel marciume lo aveva scoperto per caso. Un puro caso fortuito in cui qualcuno lo aveva chiamato in ufficio scambiandolo per la talpa, il suo collega Lorenzo. Questo era quello che gli faceva più male. Lorenzo non era stato solo un collega, ma un amico. L’amico che gli era stato vicino quando sua moglie era morta di cancro. L’amico che ti rende più sopportabili i momenti avvilenti di un lavoro difficile in un mondo sempre più surreale. Perché non era stato in grado di guardare le ombre che si agitavano negli occhi di che gli era vicino? Sprofondò tra gli acari della sua poltrona e chiuse gli occhi. Pensò a ieri e si sentì più triste e più solo.

Dimmi chi sono


Chris rientrò nel suo appartamento che ormai era notte fonda. Prima di entrare tolse le scarpe per non rovinare il parquet. Come se fosse una sera uguale alle altre, come se l’indomani avesse dovuto recarsi nuovamente in ufficio, riordinò meticolosamente e ossessivamente tutte le sue cose.
Incontrò il suo riflesso nello specchio. Il suo sguardo era vuoto, spento. Pensò che nessuno lo aveva mai guardato davvero negli occhi, nessuno si era mai accorto dell’urlo dentro di sé con cui chiamava disperatamente l’anima, la sua anima. Silenzio, solo un orribile silenzio. Valeria era stata come tutte le altre. Anche lei alla fine l’aveva umiliato e fatto sentire una nullità. Anche lei voleva controllare la sua vita, manipolarlo. Lo avevano fatto tutti, sempre. Il telefono squillò. Sua madre, appunto. Ignorò il telefono. Anche in ufficio era costretto a fingere per compiacere Richard, il suo capo. Lo trattava come un idiota e qualsiasi cosa facesse non andava bene. Lui, in fondo, voleva solo essere amato un po’ ma quell’amore lo doveva pagare sempre a caro prezzo. Mentre sorseggiava un tè, la sgradevole verità che era sempre stata dentro di lui si fece strada in superficie procurandogli una sorta di malinconico stordimento. Lo avevano amato per quello che non era. Si guardò le mani. Una piccola traccia di sangue era rimasta vicino l’unghia del suo indice. Portò il dito alle labbra e cominciò a succhiarlo lentamente. Era irritato. Si ripuliva sempre alla perfezione, dopo. Era la prima volta che un così evidente segno di trascuratezza si insinuava nella sua vita. Forse era vero che la morte procede per allusioni. In lontananza sentì l’eco furioso delle sirene della polizia. Forse qualcuno si era finalmente accorto di lui.

Via di fuga


Il portone dell’elegante palazzo romano si richiuse pesantemente alle spalle di Luca, con un tonfo che riecheggiò nel silenzio di una notte fredda e uggiosa. Un freddo che ti penetrava dentro facendoti sentire vuoto, indifeso, fratturato. Questo pensò Luca avviandosi verso casa dove Morgana sarebbe stata li ad aspettarlo, felice di fargli le fusa. La gattina che aveva raccolto dalla spazzatura più morta che viva era l’unico essere puro del suo lurido mondo. Una boccata d’ossigeno quando riusciva ad emergere dal mare nero in cui era costretto a naufragare ogni amaro giorno della sua vita.
Amaro come il sapore che sentiva in bocca, la lingua impastata in un retrogusto di bile ogni volta che ripensava all’epilogo di tutta quella tragica storia.
“Buonasera avvocato”, il parcheggiatore abusivo lo salutò con un cenno della mano come ogni sera.
“Oreste buonasera, faccio due passi a piedi. Torno più tardi a riprendere l’auto”.
“Come vuole il dottore” rispose Oreste, osservandolo con commiserazione, la sigaretta che gli pendeva all’angolo della bocca.
Luca si mise a costeggiare lentamente il Lungotevere. Una nebbia sottile galleggiava sulle sue acque torbide e maleodoranti. Chinò lo sguardo verso l’acqua putrida, come questa città pensò tra sé, e non riuscì a scorgere il riflesso della sua faccia.
La donna che amava era stata uccisa. Una donna che credeva ancora nella giustizia che aveva osato sfidare il sistema e le sue regole e che voleva solo fare fino in fondo il suo dovere di onesto magistrato. L’ingranaggio non permette ai suoi pezzi di impazzire. Semplicemente li sostituisce. Tutto era stato insabbiato dentro una rappresentazione della giustizia che con la giustizia non aveva nulla in comune. Lui non si era mai sentito un eroe. Amava il suo lavoro perché amava la gente e si sentiva partecipe delle loro miserie e dei loro drammi che quasi mai erano solo privati ma piuttosto il frutto di una società malata e folle che aveva perso il senso di sé stessa. E ora era di nuovo solo. Si sentiva sconfitto, stritolato e totalmente impotente.
Luca tornò indietro. Una lacrima gli rigò il volto. Sentì sulle labbra il sapore salato e ne ebbe una leggera nausea. Pensò che era impossibile poter fuggire da fermi. Chi avrebbe fatto giustizia per Laura? Chi avrebbe fatto giustizia per tutti quei bambini massacrati da uomini troppo potenti per essere toccati dalla mano di Dio? Marco il suo cliente era finito nel mezzo di un gioco troppo grande per lui, tra ministri, mafiosi e persino alti prelati e organizzazioni umanitarie. Era alla fine riuscito a dimostrare l’estraneità del suo cliente a quel vile traffico di organi ma a quale prezzo?
Chiuse gli occhi, per non pensare, per non consegnarsi alla follia ma soprattutto per difendere quel poco che gli rimaneva di sé stesso. Qualcuno forse avrebbe avuto bisogno di lui domani e fuggire non gli era mai riuscito bene.


Vento di frontiera


Finalmente raggiunsero la frontiera. Amina avanza pesantemente con quel ventre di donna gravida che aveva protetto come il più prezioso di tutti i suoi tesori durante quel viaggio che sembrava non avere mai fine.
Jamila era al suo fianco ed entrambe guardarono il deserto sterminato che si stendeva innanzi a loro. La guida che le aveva condotte al confine in quella che era la loro ultima tappa verso la libertà fece loro un cenno di saluto con la mano.
Il suo compito era concluso.
Amina cadde in ginocchio e le lacrime inondarono il suo volto mentre si chinava a baciare le rocce inaridite dal sole.
- “Jamila, hai visto?Non è stato poi così difficile”
La frontiera era li davanti a loro senza alcun particolare segno distintivo. Jamila percepì la gioia nella voce di sua sorella ma anche qualcosa che assomigliava alla rabbia. Jamila capì. Se il confine lasciava passare gli uomini con la stessa facilità con cui lasciava passare il vento perché avevano aspettato tanto?
Amina si guardò intorno sentendosi piena di nuova forza. Si girò verso Jamila per abbracciarla ma vide qualcosa nei suoi occhi che la inquietò. All’improvviso comprese che qualcosa non andava.
“Devo dirti qualcosa di importante”, disse Jamila con voce tremante.
“Jamila cosa succede?Non sei felice anche tu? Il nostro viaggio è quasi finito”.
“Non posso seguirti Amina. La verità è che sono molto malata, non mi resta molto da vivere e voglio morire qui nella mia terra. Ti ho accompagnato perché volevo essere sicura che tu raggiungessi sana e salva la frontiera. Vai! Il tuo uomo e là che ti aspetta per crescere insieme il vostro bambino. Io tornerò indietro nella casa della nostra famiglia, dai nostri genitori.”
Amina era sconvolta. Le lacrime si mescolarono alla rabbia furiosa che la invase .
“Non puoi farmi questo, non puoi”!
“Amina, ascoltami! Ora devi andare, te ne prego. Non voltarti indietro per nessuna ragione al mondo. Il nostro vero viaggio comincia ora, lo capisci questo”?
Amina chinò il capo vinta dalla forza irremovibile di sua sorella. Dolcemente l’abbracciò per l’ultima volta prima di oltrepassare quella frontiera che aveva sognato tutta la vita.

L’urlo. Le voci della follia nelle forme espressive dell’arte.


I poeti esprimono meglio di tutti la condizione dell’esistenza umana o il “senso” e il “non-senso” che viaggiano insieme nell’anima di noi tutti.
E quando l’anima sente questa frattura dentro di se è la follia, l’angoscia , il dolore, la tristezza e il male di vivere. L’arte o le forme espressive dell’arte altro non sono che lo specchio e la descrizione della nostra vita e delle sue contraddizioni.
Tutto questo lo ritroviamo nella poesia di Verlaine. Solo pochi versi e colui che legge è trasportato negli abissi della sua anima dove può toccare il dolore nascosto ai confini di se stesso. E’ la tristezza del cuore, quella verità dell’esistere che ognuno di noi cerca di soffocare nel silenzio con la frenesia della vita e l’euforia ingannatrice. Sovente nella poesia di Verlaine ritroviamo la malinconia per la felicità perduta. Non ci sono più speranze ed illusioni per l’uomo che attende passivamente il tempo venire verso di lui. Il senso ultimo della vita è tutto nel passato che divora le speranze e le attese, annullando la dimensione futura del tempo. E se gli uomini hanno consegnato un senso definitivo al passato non potranno che arrendersi “au vent mauvais” della fatalità della vita alla stregua delle foglie morte dell’autunno. L’idea della morte è sentita dal poeta come l’unica opportunità di far tacere la tristezza del cuore.
Tutta la poesia di Verlaine è un’invocazione di aiuto e una richiesta di amore, la sola cosa che può ridare un senso alla vita degli uomini.
L’insignificanza dell’esistenza è l’altra faccia della verità e solamente i poeti e i pazzi possono riconoscerla. Dice bene Eugenio Borgna definendo la follia come la sorella sfortunata della poesia.